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Diventiamo spugne per la cura di nostra sorella acqua

Negli ultimi anni si sta avverando quello che alcuni avevano predetto, e cioè che l’acqua sarebbe diventato un bene sempre più scarso, inquinato, critico per le alluvioni, … prevedendo addirittura guerre per l’acqua. Purtroppo queste situazioni si stanno realizzando, l’incuria e l’ingordigia dell’uomo e delle sue strutture di peccato stanno degradando la nostra casa comune e con essa sorella acqua. Le immagini dell’alluvione a Bologna ci hanno segnato profondamente.

I cambiamenti climatici, causati dall’uomo, alternando siccità e alluvioni sempre più disastrose, stanno avendo impatti drammatici sul ciclo idrologico e, in particolare, sulla disponibilità dell’acqua. Possiamo citare le valutazioni dell’ISPRA secondo cui si prevede a livello nazionale una riduzione della disponibilità della risorsa idrica, che va dal 10% nella proiezione a breve termine, nel caso di un approccio di mitigazione aggressivo nella riduzione delle emissioni di gas serra, al 40% (con punte del 90% per il sud Italia) nella proiezione a lungo termine, ipotizzando che la crescita delle emissioni di gas serra mantenga i ritmi attuali.

(vedi Siccità e risorsa idrica: negli ultimi 30 anni (1991-2020) disponibilità di acqua ridotta del 19% rispetto al trentennio 1921-1950 — Italiano (isprambiente.gov.it)

A sua volta il Rapporto sulle condizioni di pericolosità da alluvione in Italia e indicatori di rischio associati — Italiano (isprambiente.gov.it); Indicatori di rischio — Italiano (isprambiente.gov.it) mostra che la popolazione a rischio frane in Italia residente nelle aree a pericolosità elevata e molto elevata è pari a 1.303.666 abitanti (2,2% del totale) e quella a rischio alluvioni nello scenario di pericolosità idraulica media a 6.818.375 abitanti (11,5%).

Le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria. Le famiglie a rischio frane e alluvioni sono rispettivamente 547.894 e 2.901.616. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono 565.548 (3,9%), quelli ubicati in aree allagabili nello scenario medio sono 1.549.759 (10,7%).

L’Osservatorio Città Clima tiene traccia degli incidenti dal 2010, i comuni colpiti sono stati 831, per un totale di oltre 1600 eventi estremi (si veda CittàClima_2022 (cittaclima.it). Il trend di crescita degli incidenti sull’onda della crisi climatica è chiaro da oltre 10 anni, ma il cambio di passo è arrivato di recente, tradotto in numeri: lo scorso anno la siccità ha causato 29 incidenti, contro i 6 del 2021. Gli allagamenti da piogge intense tra il 2021 e il 2022 sono passati da 88 a 105.

Gli effetti del cambiamento climatico sono tanto più disastrosi quanto meno abbiamo cura del territorio. Il consumo del suolo con la sua cementificazione scriteriata crea le condizioni per frane, esondazioni, sfollamenti, perdite e danni che si ripercuotono soprattutto sulle popolazioni e famiglie più esposte e vulnerabili. Questa è l’altra faccia della medaglia, l’impatto sociale sui più deboli, anziani, bambini, famiglie che vivono in condizioni insalubri nelle periferie, nelle aree più esposte.

Ancora una volta è l’ISPRA che ci offre Il Rapporto SNPA “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” — Italiano (isprambiente.gov.it). Nel 2021 le nuove coperture artificiali hanno interessato 69,1 chilometri quadrati, cioè 19 ettari in media al giorno: è il valore più alto degli ultimi 10 anni, come si legge nel riassunto de Il consumo di suolo in Italia riprende a correre a un ritmo "insostenibile" (altreconomia.it). La copertura artificiale del suolo in Italia è giunta così al 7,13% -contro la media dell’Unione europea che è del 4,2%-, oltrepassando il 10% nel caso del “suolo utile”, ovvero quella parte di territorio “teoricamente disponibile e idonea” a usi diversi, ricorda il SNPA. Le aree perse in Italia dal 2012 avrebbero garantito l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori come si vede sempre più di frequente.

Questo incontrastato processo di degrado del territorio non piove dal cielo ma è reso possibile, come ricordano i curatori del SNPA, dall'”assenza di interventi normativi efficaci” e dalla mancanza di un “quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale”. Le conseguenze ambientali sono note: armi spuntate contro desertificazione, siccità e dissesto idrogeologico, città meno sicure e meno resilienti, perdita di produttività agricola e di carbonio organico nello strato superficiale del suolo, cancellazione di habitat naturali, mancata ricarica delle falde acquifere, erosione e frammentazione del territorio.

A fronte di queste condizioni occorre accogliere l’appello di Papa Francesco per la cura della nostra casa comune, e in particolare di nostra sorella acqua. Accrescere la nostra consapevolezza individuale, familiare, di comunità, e cambiare gli stili di vita, i comportamenti sociali e le regole e politiche della nostra convivenza con l’altro e la natura.

Oltre alle diverse pratiche individuali e familiari per cui si trovano diverse guide (ad esempio si veda quella prodotta dalla diocesi di Molfetta Acqua depliant 3_Layout 1 (diocesimolfetta.it)) è importante creare delle comunità per l’acqua bene comune, come quelle energetiche rinnovabili e solidali.

Queste comunità possono adottare una innovazione costituita dalle cosiddette città spugna (vedi Vivremo tutti nelle città spugna - Il Post).

Si tratta di limitare asfalto e cemento per favorire l'assorbimento dell'acqua, riducendo il rischio di alluvioni e di rimanere all'asciutto nei lunghi periodi di siccità. Diverse città si stanno muovendo e sembra che anche il PNRR (Piano nazionale ripresa e resilienza) possa finanziare progetti legati alle città spugna, come in generale per la costruzione e la realizzazione di nuove infrastrutture, per deimpermeabilizzare alcune superfici, creare nuove zone alberate, bacini di detenzione dell’acqua, canali di drenaggio con vegetazione, sistemi di infiltrazione profonda dell’acqua e installazione di pavimentazioni drenanti per non ostacolare il passaggio dell’acqua piovana nel suolo.

Esistono anche i cosiddetti “giardini di pioggia” CHE assolvono a questa funzione (Rain gardens, ovvero giardini della pioggia - #piemonteparchi).

Esempi di rain gardens, ovvero giardini della pioggia

Vengono costruiti creando una lieve depressione nel terreno preparato per essere drenante, in modo che le acque superficiali si possano facilmente infiltrare. Il giardino viene poi assemblato scegliendo piante resistenti al clima locale, in modo che siano in grado sia di resistere a prolungati periodi di siccità sia di trattenere l’acqua nel caso di allagamenti. Naturalmente non tutti i terreni sono drenanti a sufficienza da consentire la costruzione di giardini di pioggia, ma in molti casi la costruzione di piccoli canali di scolo verso punti in cui il terreno è più adatto ad assorbire l’acqua consente di ridurre il problema.

La struttura si basa dunque su di una sorta di bacino costituito da un livello più profondo in ghiaia, uno strato intermedio a grana più fine e uno superficiale composto per il 50-60% da sabbia, per il 20-30% da compost organico, e per altri 20-30% da terreno del sito.

Essi consentono all'acqua meteorica di defluire gradualmente nel terreno evitando così di congestionare il sistema fognario urbano: attraverso il lento e continuo assorbimento, l'acqua è filtrata dal terreno che la rilascia nel corpo idrico ricettore depurata naturalmente. Si parla di una riduzione del 30 % delle sostanze inquinanti! È possibile inoltre inserire un sistema di recupero delle acque di deflusso e il loro riutilizzo per l'irrigazione durante i periodi siccitosi.

Infine, l'utilizzo di specie autoctone favorisce la biodiversità anche in ambienti urbani: i giardini pluviali diventano l'habitat ideale per ospitare farfalle, insetti impollinatori e avifauna. Le piante autoctone poi sono resistenti: si adattano con più facilità delle specie esotiche alle trasformazioni stagionali del clima locale, e contrastano gli attacchi di parassiti e specie infestanti. I rain gardens svolgono così il loro ruolo di abbellimento e decoro urbano ma anche di sensibilizzazione della popolazione verso le tematiche ambientali.

Invitiamo dunque le diocesi, le parrocchie, le associazioni, i cittadini ad avere cura del territorio, della nostra casa comune e di sorella acqua, creando comunità per l’acqua bene comune, trasformando alcune aree e giardini di oratori, case, parchi e spazi pubblici in “spugne”.

Credits:

Creato con immagini di yotrakbutda - "Soil drought cracked landscape on sunset sky" • Q - "landscape of dry earth ground and viaduct, extreme drought in Entrepenas reservoir, in Guadalajara, Castilla, Spain Europe " • A_A88 - "A swamp covered with dense green herbaceous vegetation"Messaggio per il tempo del Creato