Loading

ortodossia Pastorale

Problemi aperti dal conflitto e prospettive di riconciliazione

Quanto accaduto nel XX secolo ha mostrato in modo inequivocabile all’intera cristianità, nelle sue diverse forme storiche e confessionali, la necessità di superare una volta per tutte la reciproca negligenza, diffidenza e persino intolleranza. Il Concilio Vaticano II e la sua recezione hanno offerto certamente solide basi al mondo cattolico per ripensare in modo nuovo e più fecondo il rapporto con le altre chiese cristiane, in particolare con le “chiese sorelle” ortodosse; «tradizioni vitali e complementari della stessa Chiesa di Cristo» nella prospettiva di vivere una piena e visibile comunione che nel corso degli anni ha sperimentato dialogo, condivisione, speranze e difficoltà.

Cosa dice il magistero della Chiesa Cattolica sul rapporto con le Chiese Ortodosse

Offriamo qui alcuni testi del Concilio Vaticano II e del magistero di San Giovanni Paolo II, che mostrano quale sia lo sguardo con il quale riconoscere e accogliere l'esperienza di fede delle Chiese Ortodosse.

1.Dal Decreto del Concilio Vaticano II sull’Ecumenismo Unitatis Redintegratio, del 21 novembre 1964 (n. 14.17 passim)

14. Le chiese d'oriente e d'occidente hanno seguito durante non pochi secoli una propria via, unite però dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina. È cosa gradita per il sacro concilio, tra le altre cose di grande importanza, richiamare alla mente di tutti che in oriente prosperano molte chiese particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le chiese patriarcali, e non poche di queste si gloriano d'essere state fondate dagli stessi apostoli. Perciò presso gli orientali grande fu ed è ancora la preoccupazione e la cura di conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, ci devono essere tra le chiese locali.

Non si deve ugualmente passar sotto silenzio che le chiese d'oriente hanno fin dall'origine un tesoro, dal quale la chiesa d'occidente molte cose ha prese nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e dell'ordine giuridico. Né si deve sottovalutare il fatto che i dogmi fondamentali della fede cristiana, quali quelli della Trinità e del Verbo di Dio incarnato da Maria vergine, sono stati definiti in concili ecumenici celebrati in oriente. E per conservare questa fede quelle chiese molto hanno sofferto e soffrono ancora.

L'eredità tramandata dagli apostoli è stata accettata in forme e modi diversi e fin dai primordi stessi della chiesa, qua e là variamente sviluppata, anche per la diversità di mentalità e di condizioni di vita. E tutte queste cose, oltre alle cause estranee anche per mancanza di mutua comprensione e carità, diedero ansa alle separazioni.

Perciò il santo concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione tra le chiese orientali e la chiesa cattolica, a tenere in debita considerazione questa speciale condizione della nascita e della crescita delle chiese d'oriente, e la natura delle relazioni vigenti fra esse e la sede di Roma prima della separazione, e a formarsi un equo giudizio di tutte queste cose. Se tutto questo sarà accuratamente osservato, contribuirà moltissimo al dialogo che si vuole stabilire.

2. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica “Orientale lumen” - 1995 (nn. 5-6):

5. “Nell'indagare la verità rivelata in oriente e in occidente furono usati metodi e prospettive diversi per giungere alla conoscenza e alla proclamazione delle cose divine. Non fa quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che non dall'altro, cosicché si può dire allora che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi” [Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, 17].

Portando nel cuore le domande, le aspirazioni e le esperienze a cui ho accennato, la mia mente si volge al patrimonio cristiano dell'Oriente. Non intendo descriverlo né interpretarlo: mi metto in ascolto delle Chiese d'Oriente che so essere interpreti viventi del tesoro tradizionale da esse custodito. Nel contemplarlo appaiono ai miei occhi elementi di grande significato per una più piena ed integrale comprensione dell'esperienza cristiana e, quindi, per dare una più completa risposta cristiana alle attese degli uomini e delle donne di oggi. Rispetto a qualsiasi altra cultura, l'Oriente cristiano ha infatti un ruolo unico e privilegiato, in quanto contesto originario della Chiesa nascente.

La tradizione orientale cristiana implica un modo di accogliere, di comprendere e di vivere la fede nel Signore Gesù. In questo senso essa è vicinissima alla tradizione cristiana d'Occidente che nasce e si nutre della stessa fede. Eppure se ne differenzia, legittimamente e mirabilmente, in quanto il cristiano orientale ha un proprio modo di sentire e di comprendere, e quindi anche un modo originale di vivere il suo rapporto con il Salvatore. Voglio qui avvicinarmi con rispetto e trepidazione all'atto di adorazione che esprimono queste Chiese, piuttosto che individuare questo o quel punto teologico specifico, emerso nei secoli in contrapposizione polemica nel dibattito tra Occidentali e Orientali.

L'Oriente cristiano fin dalle origini si mostra multiforme al proprio interno, capace di assumere i tratti caratteristici di ogni singola cultura e con un sommo rispetto di ogni comunità particolare. Non possiamo che ringraziare Dio, con profonda commozione, per la mirabile varietà con cui ha consentito di comporre, con tessere diverse, un mosaico così ricco e composito.

6. Vi sono alcuni tratti della tradizione spirituale e teologica, comuni alle diverse Chiese d'Oriente, che ne distinguono la sensibilità rispetto alle forme assolute della trasmissione del Vangelo nelle terre d'Occidente. Così li sintetizza il Vaticano II: «E’ noto a tutti con quanto amore i cristiani orientali compiano le sacre azioni liturgiche, soprattutto la celebrazione eucaristica, fonte della vita della Chiesa e pegno della gloria futura, con la quale i fedeli uniti col Vescovo hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo Incarnato, morto e glorificato, nell'effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la santissima Trinità, fatti "partecipi della natura divina" (2Pt 1,4)» [Ibidem, 15].

In questi tratti si delinea la visione orientale del cristiano, il cui fine è la partecipazione alla natura divina mediante la comunione al mistero della santa Trinità. Vi si tratteggiano la «monarchia» del Padre e la concezione della salvezza secondo l'economia, quale la presenta la teologia orientale dopo Sant'Ireneo di Lione e quale si diffonde presso i Padri cappadoci [cfr. S. Ireneo, Contro le eresie, V,36,2; S. Basilio, Trattato sullo Spirito Santo, XV,36; XVII,43; XVIII, 47].

La partecipazione alla vita trinitaria si realizza attraverso la liturgia e in modo particolare l'Eucaristia, mistero di comunione con il corpo glorificato di Cristo, seme di immortalità [cfr. S. Gregorio di Nissa, Discorso catechetico XXXVII]. Nella divinizzazione e soprattutto nei sacramenti la teologia orientale attribuisce un ruolo tutto particolare allo Spirito Santo: per la potenza dello Spirito che dimora nell'uomo la deificazione comincia già sulla terra, la creatura è trasfigurata e il Regno di Dio è inaugurato.

L'insegnamento dei Padri cappadoci sulla divinizzazione è passato nella tradizione di tutte le Chiese orientali e costituisce parte del loro patrimonio comune. Ciò si può riassumere nel pensiero già espresso da Sant'Ireneo alla fine del II secolo: Dio si è fatto figlio dell'uomo, affinché l'uomo potesse divenire figlio di Dio [cfr. Contro le eresie, III,10,2; III,18,7; III,19,1; IV,20,4; IV 33; V, Pref.]. Questa teologia della divinizzazione resta una delle acquisizioni particolarmente care al pensiero cristiano orientale [Innestati in Cristo «gli uomini diventano dei e figli di Dio, ... la polvere è innalzata ad un tale grado di gloria da essere ormai uguale in onore e deità alla natura divina», Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, I].

In questo cammino di divinizzazione ci precedono coloro che la grazia e l'impegno nella via del bene ha reso «somigliantissimi» al Cristo: i martiri e i santi [cfr. S.Giovanni Damasceno, Sulle immagini, I,19]. E tra questi un posto tutto particolare occupa la Vergine Maria, dalla quale è germogliato il Virgulto di Jesse (cfr. Is 11,1). La sua figura è non solo la Madre che ci attende ma la Purissima che - realizzazione di tante prefigurazioni veterotestamentarie - è icona della Chiesa, simbolo e anticipo dell'umanità trasfigurata dalla grazia, modello e sicura speranza per quanti muovono i loro passi verso la Gerusalemme del cielo [cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987) 31-34; Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, 15].

Pur accentuando fortemente il realismo trinitario e la sua implicazione nella vita sacramentale l'Oriente associa la fede nell'unità della natura divina alla inconoscibilità della divina essenza. I Padri orientali affermano sempre che è impossibile sapere ciò che Dio è, si può solo sapere che Egli è, poiché si è rivelato nella storia della salvezza come Padre, Figlio e Spirito Santo [cfr. S. Ireneo, Contro le eresie, II,28,3-6; S. Gregorio di Nissa, Vita di Mosè: PG 44,377; S. Gregorio di Nazianzo, Sulla santa Pasqua, or. XLV, 3s].

Questo senso della indicibile realtà divina si riflette nella celebrazione liturgica, dove il senso del mistero è colto così fortemente da parte di tutti i fedeli dell'Oriente cristiano.

«In oriente si trovano pure le ricchezze di quelle tradizioni spirituali, che sono state espresse specialmente dal monachesimo. Ivi, infatti, fin dai gloriosi tempi dei santi padri fiorì quella spiritualità monastica, che si estese poi all'occidente e dalla quale, come da sua fonte trasse origine la regola monastica dei latini e in seguito ricevette ripetutamente nuovo vigore. Perciò caldamente si raccomanda che i cattolici con maggior frequenza accedano a queste ricchezze dei padri orientali, le quali trasportano tutto l'uomo alla contemplazione delle cose divine» [Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, 15].

La guerra in corso tra Russia e Ucraina sta modificando il quadro persino all’interno delle stesse confessioni ortodosse ucraine in un modo che appare oggi ancora estremamente incerto nei suoi esiti, e che potrebbe da un lato generare le condizioni per una nuova unità ortodossa in Ucraina, come dall'altro approfondire e moltiplicare le divisioni tra le Chiese; al tempo stesso le relazioni di comunione tra le diverse Chiese ortodosse autocefale sono profondamente mutate, accentuando delle dinamiche che già avevano segnato la comunione ortodossa negli ultimi anni, con il moltiplicarsi di prese di posizione che hanno portato a silenzi e censure.

La critica antioccidentale, che nasce da una lettura negativa della modernità, emersa con maggiore chiarezza nel corso del 2022 dalle parole del patriarca Kirill, riprendendo temi cari alla politica nazionalista che gravita attorno al potere di Putin, ha radici profonde nella cultura e nella ortodossia in Russia, richiamandosi all'idea che il male viene proprio dall’individualismo occidentale, dal primato della luciferina ragione occidentale. Nel dialogo si può comprendere questa lettura che impedisce la conoscenza della complessità e della varietà dei processi culturali, promossi e subiti dalla fede cristiana, nel corso dei secoli, con una particolare attenzione alle vicende del XX secolo.

L'incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill a Cuba, il 12 febbraio 2016 - fonte

Con questa guerra il dialogo ecumenico tra le Chiese è chiamato ad affrontare nuove sfide, alla luce della radice evangelica che guida i cristiani al superamento delle divisioni per essere testimoni dell’unità, chiedendo loro di vivere autentiche relazioni personali di amicizia, di fraternità e di comunione nella quotidianità dell’accoglienza materiale e spirituale dell’altro.

Le Chiese cristiane in Europa hanno offerto inizialmente il loro prezioso contributo ponendo al centro la questione cruciale della riconciliazione, come dono di Dio e sorgente di vita nuova, tanto da dedicare la Seconda Assemblea Ecumenica (Graz, 1997) a questo tema, ripreso e sviluppato nella Charta Oecumenica, consegnata ai giovani cristiani nell’aprile 2001, per essere luce di gioia e di speranza per un impegno evangelico all’unità che è parte essenziale e irrinunciabile dell’esperienza cristiana.

Da allora molto è stato fatto ma ancora di più deve essere fatto per una conversione del cuore e della mente per scoprire, nello scambio dei doni, l’unità nella comunione dei santi di ogni Chiesa.

Credits:

Ortodossia pastorale