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Ebraismo Pastorale

Paolo ebreo

Quasi tutti pensano a Paolo come un grande convertito, modello, quasi prototipo, di tante altre conversioni al cristianesimo; quindi, inevitabilmente si tende a considerarlo come uno che da ebreo diventa cristiano, con implicito il passaggio da qualcosa di inferiore che viene lasciato a qualcosa di maggiore che viene abbracciato, come chi si converte da una religione ad un’altra che ritiene migliore.

Ma, come per Gesù stesso, Paolo era e rimane ebreo, per sempre. Certamente con la precisazione che per lui, come per la chiesa nascente – tutta di matrice giudaica – si tratta di riconoscere nel maestro di Nazaret il messia, in qualche modo il compimento delle attese del popolo d’Israele con l’inaugurazione dell’era messianica; d’altra parte, il messianismo è una convinzione che faceva e fa tuttora parte della fede degli ebrei.

Nel pensiero e nel cuore di Paolo un posto tutto particolare – e dovrebbe esserlo per ogni discepolo di Gesù – è occupato dal popolo ebraico, il popolo dell’alleanza mai revocata, per esso l’Apostolo ha parole che rivelano un amore estremo: “desidererei infatti essere io stesso maledetto, separato da Cristo, in favore dei miei fratelli consanguinei” (Rm 9,3).

Cfr, Giovanni Paolo II, INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II CON I RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITÀ EBRAICA, Mainz (Magonza) - 17 Novembre 1980.

Paolo e l’alleanza mai revocata con Israele.

Di fatto Paolo è l’unico tra gli autori del NT che si pone quella domanda così importante:

“Che ne sarà di quella parte del popolo dell’alleanza che non ha riconosciuto in Gesù il messia?”

Ben tre capitoli della lettera ai Romani (9–11) sono dedicati ad affrontare quello che rappresenta uno dei più grandi misteri del piano salvifico di Dio. Il tema è difficile, e Paolo deve mettere in campo tutta la sua sapienza scritturistica per cercare di fare un po’ di luce. Innanzitutto, dimostra che la Parola di Dio non è venuta meno e che le sue scelte sono insindacabili (Rm 9,6–29), poi ribadisce quanto aveva messo in evidenza nei primi cinque capitoli della lettera, e cioè che la salvezza viene accolta mediante la fede in Cristo senza le opere della Legge (9,30–10,21), e infine che Dio non ha ripudiato il suo popolo (11,1–32). Una delle metafore più interessanti per cercare di illustrare il ruolo di Israele e quello dei gentili nel piano salvifico è tratto dal mondo dell’agricoltura: si parla dell’ulivo e dei suoi rami (Rm 11,17–24), per dire che l’origine (la radice) determina la qualità (la santità) della totalità della discendenza.

Gentili e Israele rami dello stesso ulivo

Questa è l’immagine che egli usa: ci sono alcuni rami della buona pianta (l’Israele degli antichi padri) che sono stati spezzati (quei giudei che hanno opposto un rifiuto al vangelo), mentre ci sono dei rami di olivo selvatico che sono stati innestati (quei gentili che hanno accolto il vangelo), e che quindi partecipano al nutrimento sostanzioso dell’ulivo buono.

Qui Paolo descrive come, al contrario della pratica botanica (di solito è il ramo della pianta nobile ma debole che viene innestato in quella selvatica che è più resistente), il ramo selvatico viene innestato sulla pianta buona per divenire partecipe della radice santa (l’Israele degli antichi padri).

Perciò i cristiani provenienti dal mondo dei gentili non devono in alcun modo nutrire sentimenti di sufficienza o superiorità nei confronti dei giudei, dal momento che Israele permane come radice reggente, e che senza Israele essi nemmeno esisterebbero come tali: “la radice porta te” (Rm 11,18).

Se la Chiesa cristiana (nelle sue varie articolazioni confessionali) lungo i secoli avesse tenuto presente e predicato la verità contenuta in questi capitoli della Parola di Dio contenuta nella Sacra Scrittura non avrebbe permesso che crescesse quella pianta maligna che sarà poi chiamata la “teologia della sostituzione”, il pensiero maturato già al tempo dei padri della chiesa, che cioè Israele sarebbe stato rigettato da Dio e che nel piano salvifico di Dio ora veniva sostituito dalla chiesa. “Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne” (Rm 9,4–5): se questa autorevole attestazione paolina fosse stata ricordata non sarebbe alimentato lo scellerato disprezzo dei cristiani verso i fratelli ebrei. Come sappiamo le conseguenze nefaste di quella falsa teologia hanno raggiunto l’apice nella Shoah, lo sterminio degli ebrei avvenuto nell’Europa cristiana.

Documenti e prossimi obiettivi

Come è risaputo, la svolta nella chiesa cattolica è avvenuta con il Concilio Vaticano II, con la dichiarazione Nostra Aetate n. 4 che significativamente nelle note non riporta insegnamenti magisteriali precedenti, (come avviene per altri documenti conciliari), ma brani dal NT e soprattutto da Rm 11.

Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo.

La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti.

Essa confessa che tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede (6), sono inclusi nella vocazione di questo patriarca e che la salvezza ecclesiale è misteriosamente prefigurata nell'esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù. Per questo non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell'Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l'Antica Alleanza, e che essa stessa si nutre dalla radice dell'ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell'ulivo selvatico che sono i gentili (7). La Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso (8). Inoltre la Chiesa ha sempre davanti agli occhi le parole dell'apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua stirpe: « ai quali appartiene l'adozione a figli e la gloria e i patti di alleanza e la legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono i Padri e dai quali è nato Cristo secondo la carne» (Rm 9,4-5), figlio di Maria vergine.

Essa ricorda anche che dal popolo ebraico sono nati gli apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e così quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo di Cristo.

Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata (9); gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione (10). Tuttavia secondo l'Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento (11). Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e « lo serviranno sotto uno stesso giogo » (Sof 3,9) (12).

Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo.

E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo (13), tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.

E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo.

La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque. In realtà il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza. Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è dunque di annunciare la croce di Cristo come segno dell'amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia.

(Nostra Aetate n.4)

Da quel momento molto cammino è stato fatto, anche attraverso molti documenti pubblicati come:

  1. Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei, 1985
  2. Noi Ricordiamo: una riflessione sulla Shoah; Giovanni Paolo II, 1998.
  3. Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili, 2015

Tuttavia, molto resta da fare, soprattutto a livello di formazione di base dei cristiani, tra i quali ancora prevalgono cliché del passato (rinvenibili ancora perfino in tante prediche di parroci impreparati).

Proposte

Nella liturgia:

  • valorizzazione nella predicazione della I lettura, per mostrare l’importanza e la perenne validità dell’AT, che Paolo frequentemente cita nelle sue lettere;
  • la riflessione sulla II lettura, quasi sempre tratta dalle lettere dell’Apostolo, al fine di mostrare le radici ebraiche del cristianesimo paolino.

Nella catechesi:

  • presentazione dei documenti del magistero recente (cf. quelli sopra menzionati), ovviamente declinando i temi a seconda dell’età e della cultura delle persone a cui si rivolge la catechesi.

Negli incontri biblici:

  • valorizzazione dell’AT, letto anche con l’apporto dell’esegesi rabbinica (come indicato ad es. dal documento della PCB, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, 2001).

Valorizzazione a livello diocesano e parrocchiale della giornata del dialogo ebraico–cristiano (in genere si celebra il 17 gennaio, prima della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani).

Materiali di approfondimento

Riportiamo di seguito alcuni materiali selezionati per la formazione e l’approfondimento relativamente al tema “Paolo Ebreo”.

Lezioni disponibili su Youtube

Si propongono alcune lezioni del Prof. Gabriele Bocaccini, docente di Nuovo Testamento presso l’Università del Michigan.

• Il dibattito odierno su Paolo (1° parte)

• Il dibattito odierno su Paolo (2° parte)

• La cosiddetta conversione di Paolo

Libri di testo
  • BOCACCINI G, Le tre vie di salvezza di Paolo l’ebreo, Ed. Claudiana (2021)
  • MORSELLI M., MAESTRI G, Nuovo Testamento. Una lettura ebraica. Lettere di Shaul/Paolo, Castelvecchi (2021)

Credits:

Ebraismo - Pastorale Creato con un’immagine di gesrey - "head of Paul the Apostle of Lutheran Church of St Peter and St Paul over blue sky in Saint Petersburg, Russia. March, 17, 2018"