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ISLAM Percorsi di pastorale

Nell’Islam la visita al malato è una sentita opera di misericordia ed è inoltre un atto sociale di grande rilievo. Quanto più dunque le nostre cappellanie ospedaliere sapranno accostarsi ai malati di fede musulmana con attenzione e carità, tanto più la loro testimonianza risuonerà come fedeltà a Dio e sarà grande manifestazione di fratellanza.

Che cosa ci muove?

La cura dei malati nella prossimità è una missione affidata a tutti i cristiani. Essere come il buon Samaritano e diventare “una comunità di uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e realizzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune” [FT, 67]. Rifondiamo la nostra azione pastorale sulla certezza che la “vicinanza è un balsamo prezioso, che dà sostegno e consolazione a chi soffre nella malattia. In quanto cristiani, viviamo la prossimità come espressione dell’amore di Gesù Cristo […] che con compassione si è fatto vicino ad ogni essere umano” (Messaggio per la XXIX Giornata del Malato)

Come relazionarsi con i fedeli musulmani e cosa avere ben chiaro?

Sempre più spesso nelle stanze di ospedale, nei corridoi o alle macchinette del caffè si incontrano fedeli musulmani. È fondamentale ricordarsi come di fatto la fragilità e la sofferenza di una malattia o la gioia di una buona notizia come ad esempio una nascita, siano esperienze di vita che raggiungono indistintamente tutte le persone, cristiani e musulmani compresi. Tra i molti, quattro sono gli elementi fondamentali su cui è bene essere particolarmente coscienti:

1) Non tutti i musulmani sono uguali. Se questa affermazione suona banale e ovvia, sappiamo bene che nessun uomo (al di là della sfera spirituale/religiosa) è uguale a un altro, tuttavia molto spesso si tende a omologare i musulmani, a vederli come un blocco monolite verso cui si possono applicare medesimi schemi o indistinte pratiche relazionali. Non è così. Tutto cambia in base all’istruzione che hanno ricevuto, al paese di origine e alla corrente teologica-giuridica di riferimento. Basti pensare ad esempio alle grandi differenze culturali tra pakistani e tunisini. È dunque fondamentale conoscere il paese di origine del malato e della sua famiglia per poter, almeno nei primi incontri, avere più consapevolezza delle differenze culturali e relazionali che possono intercorrere tra voi e il paziente.

2) La lingua. Le seconde e terze generazioni, nella maggioranza dei casi, non hanno grossi problemi legati alla lingua, al contrario permangono molteplici fatiche per le prime generazioni che non comprendono bene l’italiano e questo rischia di divenire una barriera che conduce a frustrazione, rabbia, sconforto e confusione. Questo inficia non solo le relazioni con il personale medico e infermieristico, ma anche con tutta l’équipe della cappellania. A questo proposito imparare dei saluti in lingua araba potrà sicuramente rasserenare e far sentire accolte queste persone. A volte questa semplice attenzione può essere una carta vincente per far nascere una relazione amicale e poter così essere vicini anche ai fedeli musulmani nel complesso mondo ospedaliero.

3) Il corpo e il contatto fisico. Anche se non tutti i fedeli musulmani vivono lo stesso rapporto con il proprio corpo, è bene essere coscienti del grande valore che viene attribuito al pudore fisico. Non solo infatti le donne, ma anche gli uomini tendono a non esporre tra estranei le proprie nudità. Se già dunque normalmente si ha molto rispetto e attenzione fisica verso i pazienti, ancora di più occorre essere cauti qualora ci fosse un uomo o una donna di fede musulmana. Ovviamente le differenze di sesso accentuano questo aspetto. Si consiglia dunque, a meno ché non si sia già instaurata una relazione di amicizia, di mantenere sempre una distanza intercorporea ‘abbondante’, questo per non rischiare di invadere lo spazio percepito come personale che può essere anche molto differente rispetto all’interpretazione culturale italiana. Sarebbe auspicabile che, laddove possibile, almeno durante le prime visite si fosse presenti un uomo e una donna della cappellania. Questo potrebbe diminuire l’imbarazzo e a volte la chiusura che i musulmani possono vivere nell’incontro con l’altro sesso in situazione di fragilità. Inoltre faciliterebbe la relazione anche con i familiari che spesso sono presenti e che richiedono un’attenzione e una cura altrettanto elevata. È comunque sempre bene che la visita non si protragga a lungo, meglio tornare nell’arco dei giorni che restare a lungo in una singola stanza. La costanza nel rispetto della riservatezza è sempre molto apprezzata.

4) Anche se per i musulmani Dio non è Padre, così come inteso da noi cristiani, i mistici musulmani hanno sempre messo in evidenza l’amore di Dio e la sua vicinanza e benevolenza verso i fedeli. In tal senso, è sufficiente parlare dell’amore di Dio, che è fonte della vita, e della sua premura nel prendersi cura di ogni creatura.

Di cosa parlare?

Oltre che al consueto dialogo che avviene con qualunque paziente, durante le visite si possono esprimere alcuni concetti che sono armonizzabili sia con il portato islamico che con quello cristiano (soprattutto anticotestamentario) quali:

- La speranza nella guarigione (la fede esclude la disperazione e il desiderio della morte, e la vita e la salute fisica hanno in sé un alto valore).

- La sopportazione della sofferenza come virtù eminente davanti a Dio e agli uomini (il malato può divenire anche una testimonianza di fede in Dio, quasi un modello da imitare per gli altri).

- Aumentare la fiducia incondizionata a Dio, rimettendo a lui la propria causa (Dio dispone di tutto per il bene delle sue creature).

- La grande misericordia e perdono di Dio (Dio è per antonomasia il Clemente e il Misericordioso).

In generale è bene non parlare direttamente di Bibbia o Corano, mentre non vi è generalmente alcun problema se con naturalezza si inseriscono nel proprio discorso citazioni a memoria o riferimenti di quei personaggi biblici che, anche se in modo differente e con contenuti teologici differenti, possono essere ritrovati nel testo Coranico. Questo non potrà che creare in qualche modo empatia e fiducia in quanto si verrà percepiti come uomini di fede.

Di cosa non parlare?

Si sconsiglia di addentrarsi in discussioni teologiche queste, se pur importanti, non sono il cuore dell’accompagnamento al malato in ambito interreligioso per il servizio della cappellania ospedaliera. Inoltre è bene evitare di parlare di morte davanti al malato in quanto è tradizionalmente ritenuto un tabù, come se parlarne la rendesse in qualche modo più vicina. Se fosse la persona malata ad iniziare il discorso, anche in questo caso si consiglia prudenza per non alimentare l’idea che, facendo leva su ambiti escatologici e di teodicea, si cerchi di fare proselitismo con persone malate e quindi fragili.

Nascere in ospedale

È sempre più frequente l’incontro di donne di religione islamica che si trovano in ostetricia e ginecologia. Occorre dunque, oltre che poter manifestare la vicinanza della Chiesa in un momento di generatività quale la nascita di una nuova vita, anche tenere in considerazione la possibile condizione di fatica psicologica che queste donne possono vivere partorendo lontane dal paese di origine e quindi da una rete di relazioni familiari allargata. Non di rado queste donne si trovano a vivere già il periodo prenatale con un senso di solitudine. Inoltre molte non frequentano i corsi di preparazione al parto, perché li reputano culturalmente lontani, e questo sicuramente non aiuta. La gioia di un figlio può dunque tramutarsi in un dirompente processo psicologico di rielaborazione identitaria che, oltre ad acutizzare la nostalgia del proprio paese di origine, rischia di far sperimentare in modo più o meno marcato alcune forme di depressione.

Al di là dell’avere coscienza di questa possibile fragilità nascosta, l’evento di una nascita è sempre letta come grande benedizione di Dio. Durante una visita o anche un fugace incontro nei corridoi con novelli genitori musulmani può rompere il ghiaccio e ingenerare subito accoglienza e simpatia chiedere il nome del neonato e il suo significato. I musulmani infatti scelgono il nome con molta cura e attenzione ed è sempre più frequente trovare un doppio nome esprimente da una parte le radici culturali e di fede della famiglia e dall’altra la desiderata appartenenza al contesto italiano come segno e buon auspicio di una vita ricca di ogni bene, salute e carriera lavorativa.

Morire in ospedale

Occorre sapere che, per il galateo islamico, è bene evitare ogni possibile contatto fisico con il defunto. La sacralità del corpo fa si che i gesti che solitamente intendono esprimere affetto e partecipazione (si pensi a una semplice carezza) siano assolutamente da evitare. Ciò che più si consiglia e di curare le condoglianze ai parenti di chi è deceduto. Esprimere la propria vicinanza sapendo che come dice il testo Coranico “A Dio apparteniamo e a Lui facciamo ritorno” (Corano 2 [al-Baqara], 156) è molto gradito ai fedeli musulmani. È inoltre usanza vivere il lutto per alcuni giorni dopo la morte, a questo proposito potrebbe essere interessante come cappellania recarsi, passato qualche giorno, al domicilio della famiglia. La visita a casa sarebbe grande testimonianza di comunione con il dolore della perdita e allo stesso si acquisterebbe stima da parte dei musulmani che interpreterebbero la visita come grande segno di fede in Dio.

L’impotenza davanti alle differenze culturali

Occorre tenere sempre ben presente l’impotenza davanti alle differenze culturali, che a volte possono anche gettare nello sconcerto essendo veramente molto distanti dall’universo culturale alla quale siamo abituati. Essere coscienti di questo abisso culturale aiuta la pazienza e placa la frustrazione che alle volte può nascere da reciproci malintesi di gesti, parole, azioni. Il servizio di presa di cura della cappellania più sarà vigile di questo dato di fatto e più svilupperà una possibilità di mettersi nei panni dell’altro per poter così ascoltare il reale bisogno del sofferente di fede islamica.

FAQ

- Possiamo pregare insieme? La risposta è No.

Occorre tuttavia fare alcune precisazioni e spiegare meglio. Possiamo distinguere due tipologie di preghiere: una “personale” e l’altra che identifichiamo come “rituale”. La prima manifesta l’umana vicinanza dei cuori e quindi, ad esempio, viene fatta con semplici e brevi invocazioni verso persone malate per chiederne la guarigione o un beneficio da parte di Dio e in questo senso allora è possibile pregare insieme al malato o alla famiglia; la seconda invece identifica una preghiera più strutturata e che rientra in ambiti liturgici ben delineati, in questo caso non è possibile pregare insieme. Secondo una celebra espressione di Giovanni Paolo II: è possibile ritrovarsi insieme per pregare, ma non ritrovarsi per pregare insieme. Non dobbiamo mai dimenticare che la forma della preghiera esprime anche la fede (lex orandi, lex credendi). Si raccomanda dunque di evitare ogni commistione che potrebbe portare a confusione e sincretismo.

- I musulmani malati vengono visitati da persone religiose come gli imam?

I musulmani non manifestano particolare necessità di incontrare un imam, figura questa che in Italia, nella via sunnita che è la maggiormente presente, si caratterizza guidando la preghiera rituale della comunità e dando spiegazioni qualora i fedeli non capissero alcuni passi coranici o della tradizione profetica. Gli imam dunque, possono certamente far visita ai malati, ma mancando nell’Islam elementi sacramentali propri del culto cristiano (si pensi ad esempio al sacramento della riconciliazione, alla comunione eucaristica o all’unzione degli infermi) non viene percepita come essenziale la presenza a fianco dei malati. Tuttavia, in casi particolari in cui il malato desideri esporre un dubbio di coscienza o lasciare disposizioni sui propri averi a qualche membro affidabile della propria religione, può essere richiesta la presenza di un imam. A questo proposito sarebbe utile se la cappellania avesse a disposizione un elenco delle vicine moschee e centri islamici con anche dei nominativi specifici da contattare in caso di necessità (questo può essere fatto avviando una collaborazione con l’Ufficio Diocesano di Dialogo Ecumenico e Interreligioso che dovrebbe provvedere a stilare una lista con riferimenti e contatti da poter utilizzare al bisogno).

- Il Covid19 ha prodotto molta sofferenza, ci sono attenzioni particolari da avere verso i fedeli musulmani a questo riguardo?

Durante il periodo emergenziale legato alla situazione pandemica COVID19 abbiamo tutti vissuto il dramma di lutti improvvisi e senza la possibilità di celebrare riti funebri e sepolture dignitose. A questo proposito l’UNEDI ha prodotto una scheda di suggerimenti pastorali riguardante la questione aperta delle sepolture musulmane in Italia. Nella sua ultima sezione vengono trattati cinque punti riguardanti la fase post-emergenziale, le cappellanie sono invitate dunque a riprendere questi suggerimenti e provare a porli in essere nelle rispettive realtà.

Alcune testimonianze

Alcuni testi agili per approfondire:

ABU-RAS W., Chaplaincy Services for Muslim Patients in New York City Hospitals: Assessing Needs, Barriers, and the Role of Muslim Chaplains, ISPU, New York 2010.

ALLIEVI, S. (ed.), Salute e salvezza Le religioni di fronte alla nascita, alla malattia e alla morte, Claudiana, Torino/EDB, Bologna, 2003, pp. 53-59.

AMIN, A.R.- EL-KADI, A., “Islamic Code of Medical Professional Ethics, Journal of the Islamic Medical Association of North America 20 (1988) pp. 18-20.

ATIGHETCHI, D., Islam, musulmani e bioetica, Armando, Roma 2002.

ID., “Il morire nell’Islam”, in MORANDINI S. –PEGORARO R. (ED.), Alla fine della vita: religioni e bioetica, Fondazione Lanza/Gregoriana Libreria Editrice, Padova 2003, pp. 197-218.

BEVOLO, P. et all., “Le emozioni e la cura della nascita: geografia di nuovi percorsi tra famiglie immigrate e servizi”, in M. Tognetti Bordogna (ed.), Arrivare non basta. Complessità e fatica della migrazione, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 291-305.

BOZ, P., Ogni anima assaggerà la morte. Con i nostri fratelli di fede musulmana di fronte alla sofferenza e alla morte, traduzione e adattamento a cura del CADR, Milano 1998.

COTTINI, V., “Spiritualità e prassi nel tempo della sofferenza. L’immigrato musulmano destinatario e protagonista di cure mediche e religiose”, L’Ancora nell’Unità di Salute 18 (2003) pp. 43-58.

GAREEBO, H., “An Islamic Code of Medical Ethics, Journal of the Islamic Medical Association of North America 20 (1988) pp. 21-24.

CUCCINIELLO A., La morte e l’aldilà nelle credenze dei musulmani, ISMU, Luglio 2018.

CUCCINIELLO A. – BRANCA P. (ED.), Malattia, morte e cura. I musulmani e l’emergenza sanitaria, Vita e Pensiero, Milano 2020.

G. Ragazzino - E. Scognamiglio, I decreti supremi di Allah. La morte, la fine dei tempi e l’aldilà nella fede islamica, Messaggero, Padova 2016.

NOUR D.- MOH’D A.Q, “Tradizione islamica”, in PANGRAZZI A., Salute malattia e morte nelle grandi religioni, Edizioni Camilliane, Torino 1995, pp. 89-99.

Petrini, M., Il dialogo religioso al letto del paziente, Erikson, Gardolo (TN) 2007, pp. 91-150.