Loading

islam Percorsi di amicizia/dialogo

Il dialogo tra cristiani e musulmani

Papa Francesco e il re del Marocco Hassan II durante il viaggio del 30 marzo 2019. Fonte.

Il documento più importante per il dialogo tra cristiani e musulmani è la dichiarazione conciliare Nostra aetate (28-10-1965). In questo testo, al n. 3, si ricorda che la Chiesa cattolica guarda con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Il riferimento è a coloro che cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si richiama. In- fatti, nel Corano, Abramo viene presentato come il vero credente, colui che lotta contro gli idoli, e gli sono riservati due titoli importanti: khalil (amico di Dio) e hanif (l’inclinato, colui che è naturalmente orientato verso Dio).

Oltre ogni pregiudizio

Gerusalemme, 26 maggio 2014: Papa Francesco al Muro del Pianto con il rabbino Abraham Skorka e l'imam Omar Abboud (Vatican Media). Fonte

Sappiamo, dalla storia del cristianesimo tardo antico, che i rapporti tra cristiani e musulmani sono stati molto tesi. Anche i primi tentativi di dialogo, in ambito dottrinale, non ebbero un grande successo.

Per un appronfondimento:

  • B. NAAMAN - E. SCOGNAMIGLIO, Volti dell’l’islam post-moderno, PUU, Città del Vaticano 2006
  • B. NAAMAN - E. SCOGNAMIGLIO, Islâm-îmân. Verso una comprensione, Edizioni Messaggero, Padova 2009

D’altronde, i musulmani riconoscono Gesù come un grande profeta ma non la sua divinità. Diventa poi incomprensibile, per il rigido monoteismo coranico, riconoscere il mistero della Trinità. Da non dimenticare, poi, che la concezione biblica e cristiana della rivelazione segue il filone storico, mentre il Corano predilige un approccio cosmico e ciclico.

La dichiarazione Nostra aetate del Vaticano II si appella ai pilastri fondamentali della fede musulmana e ai nomi più belli di Dio riconosciuti dalla medesima. La Chiesa cattolica e i musulmani appartengono alla stirpe di Abramo: sono uniti dalla stessa fede obbedienziale, semplice e pura, di questo patriarca, che la tradizione musulmana definisce hanif, cioè monoteista puro.

Sicuramente, occorre evitare alcuni luoghi comuni o pregiudizi nel dialogo con l’islam. Anzitutto, non si può identificare l’islam con la religione della violenza; e neanche si può ridurre questa religione a un’eresia cristiana o definirla quale religione diabolica. Questa visione appartiene al passato, e precisamente ad alcune derive della teologia del Medioevo. Certamente, il dialogo islamo-cristiano presenta molti conflitti, soprattutto dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 e le tensioni che si vengono a creare, in molti paesi musulmani, per il non rispetto della libertà religiosa e per la sottomissione della donna. Inoltre, l’applicazione della sharia, la legge islamica, nella maggioranza dei paesi islamici mette a dura prova il principio della democrazia.

Un dialogo non solo spirituale

Il principe giordano Ghazi Bin Talal nella foto con Benedetto XVI. Fonte

Oggi tra cristiani e musulmani non prevale un dialogo solo spirituale ma anche e soprattutto un dialogo concreto, fatto di aiuti, di collaborazioni, di solidarietà. Oltre all’impegno di san Giovanni Paolo II per il dialogo interreligioso e lo “spirito di Assisi”, che ha visto la partecipazione anche dei fedeli musulmani, è importante sottolineare l’iniziativa presa da papa Benedetto XVI e dai rappresentanti delle diverse comunità cristiane con la presentazione della Lettera comune (13-10-2007), ove si riflette sull’amore a Dio e sull’amore al prossimo a partire dalla rivelazione cristiana e dal Corano. Il tema della misericordia, come cuore della fede, che accomuna cristiani e musulmani, è un grande contributo anche al dialogo teologico.

  • (cfr. Una parola comune tra noi e voi, 13-10-2007, in Il Regno-Documenti 19, 2007, 588-597).

L’incontro tra Francesco d’Assisi e il Sultano d’Egitto

Di grande rilievo, sul piano storico, quasi come profezia del dialogo islamo-cristiano, è stato l’incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano d’Egitto

nel 1219. San Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in Egitto, con il Sultano Melek-el-Kâmel, per predicare anche lì il Vangelo di Gesù. In un’epoca nella quale era in atto uno scontro tra il cristianesimo e l’islam, san Francesco, armato volutamente solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo. Le cronache ci parlano di un’accoglienza benevola e cordiale ricevuta dal sultano musulmano. È un modello al quale anche oggi s’ispirano i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione (cf. Nostra aetate 3).

Per approfondimenti:

  • E. SCOGNAMIGLIO, Francesco e il Sultano. Lo spirito di Assisi e la profezia della pace, Messaggero, Padova 2011
  • B. NAAMAN - E. SCOGNAMIGLIO, Cristiani e musulmani in dialogo. Storia, teologia, spiritualità, LDC, Leumann (Torino) 2015
Giotto, "Francesco incontra il Sultano". Assisi, basilica di San Francesco. Fonte

Il viaggio di papa Francesco negli Emirati Arabi

Il viaggio di papa Francesco negli Emirati Arabi (3-5 febbraio 2019) ha una pregnante carica profetica e potrebbe segnare una svolta importantissima – con significati geo-politici, socio-culturali ed etico-religiosi – non solo per il dialogo tra cristiani e musulmani in Occidente e in Oriente, ma anche e soprattutto per la collaborazione di tutte le comunità religiose sparse per il mondo al servizio della pace, della giustizia, dell’accoglienza, della fraternità universale.

Ottocento anni prima, Francesco d’Assisi e il sultano d’Egitto realizzarono un incontro simile nel lontanissimo giugno del 1219. Al sultano d’Egitto, il Poverello d’Assisi non portò dei dogmi, né si rivolse con toni minacciosi, ma gli aprì semplicemente il cuore nella speranza di donargli quel saluto di “pace e bene” che è carico di profezia, di amore, di amicizia, di rispetto, di dignitoso riconoscimento e di benevola accoglienza. Così, allo stesso modo, papa Francesco nel suo viaggio ispirato non ha imposto alcuna verità, ma semplicemente allargato il cuore e le braccia per accogliere il grande imâm di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, come suo fratello.

Ad Abu Dhabi ci si è reso conto, ancora una volta, che non si può uccidere nel nome di nessun Dio e che la religione non può essere veicolo di violenza: soltanto la sua manipolazione ideologica può giustificare il terrorismo. Chi crede è solo capace di amare e di fare del bene al prossimo e può impegnarsi per il servizio comune agli ultimi, praticando la via della giustizia e il sentiero della carità e del rispetto fraterno. Si è guardato alla fede come a un’esperienza concreta di amore per Dio che naturalmente si riversa sul prossimo.

La Dichiarazione congiunta: vedere nell’altro un fratello

Papa Francesco saluta il grande imam Azhar Ahmed Al-Tayeb dopo aver firmato il documento sulla fratellanza universale (4 febbraio 2019). Fonte foto

Quando ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, papa Francesco ha abbracciato il grande imâm di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, gli occhi del mondo erano tutti fissi su di lui, nell’intento di leggere in profondità la profezia di tale incontro. L’abbraccio fraterno tra i due presuli ha commosso il mondo, e le comunità internazionali di ogni credo e cultura hanno accolto con entusiasmo la dichiarazione congiunta firmata dai due leader: Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune.

Il mondo arabo-musulmano si è sentito riconosciuto da papa Francesco e considerato non più come una minaccia ma quale partner importante per la sicurezza e il rispetto della libertà religiosa e il dialogo stesso tra cristiani e musulmani.

Si dice chiaramente, nella prefazione di questo documento, che «la fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare» e che dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani – uguali per la sua misericordia –, «il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere». Ogni credente si fa carico di una responsabilità verso l’altro che non può disattendere perché diversamente sconfesserebbe la sua stessa fede!

L’intento della dichiarazione comune è di aiutare i credenti a lavorare assieme e di essere una guida per le nuove generazioni verso la cultura del reciproco rispetto, nella comprensione della grande grazia divina che rende tutti gli esseri umani fratelli. Attraverso questa dichiarazione comune, cristiani e musulmani d’Oriente e d’Occidente affermano di adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta e la conoscenza reciproca come metodo e criterio. C’è un appello rivolto agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale affinché s’impegnino «seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente, e di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale che il mondo attualmente vive».

Si è convinti che il dialogo, la comprensione e la diffusione della cultura della tolleranza, dell’accettazione dell’altro e della convivenza tra gli esseri umani sono in grado di contribuire notevolmente a ridurre molti problemi economici, sociali, politici e ambientali che assediano grande parte del genere umano. Il dialogo tra i credenti significa incontrarsi nell’enorme spazio dei valori spirituali, umani e sociali comuni, e investire ciò nella diffusione delle più alte virtù morali, sollecitate dalle religioni, e significa anche evitare le inutili discussioni.

Il valore della libertà religiosa

Nella Dichiarazione congiunta è ribadito il valore della libertà religiosa, si condanna ogni sorta di terrorismo che strumentalizza la fede, e si fa appello al diritto di piena cittadinanza che non può essere negato a nessuno per motivi di fede o di razzismo. C’è anche un certo riconoscimento teologico del pluralismo religioso de facto che è citato per la difesa e il rispetto della stessa libertà religiosa. Infatti, tra gli incisi o le attestazioni più importanti è scritto quanto segue: «La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano» (ivi).

Il rispetto della donna, la difesa dei bambini e degli anziani

(Trento): Summer School internazionale dal titolo: “Interfaith engagement in theory and practice” che, dal 25 al 30 agosto 2017, ha riunito 42 giovani cristiani e musulmani. Fonte: agensir

Ci sono alcuni punti dedicati alla donna, alla difesa dei bambini e al rispetto degli anziani: «È un’indispensabile necessità riconoscere il diritto della donna all’istruzione, al lavoro, all’esercizio dei propri diritti politici. Inoltre, si deve lavorare per liberarla dalle pressioni storiche e sociali contrarie ai principi della propria fede e della propria dignità. È necessario anche proteggerla dallo sfruttamento sessuale e dal trattarla come merce o mezzo di piacere o di guadagno economico. Per questo si devono interrompere tutte le pratiche disumane e i costumi volgari che umiliano la dignità della donna e lavorare per modificare le leggi che impediscono alle donne di godere pienamente dei propri diritti. La tutela dei diritti fondamentali dei bambini a crescere in un ambiente familiare, all’alimentazione, all’educazione e all’assistenza è un dovere della famiglia e della società […]. La protezione dei diritti degli anziani, dei deboli, dei disabili e degli oppressi è un’esigenza religiosa e sociale che dev’essere garantita e protetta attraverso rigorose legislazioni e l’applicazione delle convenzioni internazionali a riguardo» (ivi).