UFFICIO NAZIONALE PER L'ECUMENISMO E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Fratelli e Sorelle. Ebrei, Cristiani, Musulmani

Fondazione Carlo Maria Martini - V VOLUME dell'OPERA OMNIA
27 Ottobre 2020

Fondazione Carlo Maria Martini - V VOLUME dell'OPERA OMNIA

Alla luce del processo di revisione delle dinamiche dialogiche innescato da Martini – “un esempio di dialogo da parte del magistero” nella Chiesa italiana[1] – dobbiamo ammettere che sarebbe davvero impresa improba ricavarne un bilancio adeguato alla mole del lavoro e all’originalità del percorso tracciato. Un percorso, in ogni caso, illuminato da due fari costanti, nel suo dipanarsi ecclesiale: il fondamento sulla Parola di Dio contenuta nella Bibbia, da un lato, e il lavoro sulla ricezione delle acquisizioni conciliari, dall’altro. Certo, occorre in primo luogo essere grati al cardinale, da parte di chi, nel corso dell’ormai lunga stagione del postconcilio, ha compreso che le Chiese si stanno giocando una buona dose della loro credibilità pubblica sulle loro capacità di rispondere alle sfide del pluralismo culturale e religioso con una strategia all’altezza dei tempi. Perché, se il dialogo è il rischio del non ancora e dell’altrove, esso non nega le differenze e non le annulla; anzi, richiede le differenze e le mantiene pur senza ergerle a idoli inscalfibili, ma abbatte gli steccati e costruisce ponti sulle voragini che abbiamo scavato – lungo i secoli – per separare noi dagli altri e gli altri da noi. Invita apertamente e mettersi in gioco. Non rivendica diritti di verità assoluta (teologica o storica), né tanto meno si arroga il diritto di determinare le scelte dell’altro, e non rinfaccia né richiede nulla all’altro. Il dialogo resta, sempre e primariamente, la cifra distintiva della carità, della speranza e della gratuità. Così, a monte, risultano innegabili lo sforzo martiniano in funzione di una Chiesa che – montinianamente[2] – si faccia colloquio, mostrandosi disponibile a cogliere il kairòs in cui si trova a vivere, fra la benedizione di un concilio epocale e il pluralismo religioso che si affaccia impetuosamente alla storia del continente europeo, e della consapevolezza che il tema del dialogo non dovrebbe essere derubricato nelle varie ed eventuali dell’elaborazione teologica; nonché gli effetti ottenuti, in chiave cittadina e ben oltre. A valle, peraltro, è doveroso rimarcare che il suo magistero sul dialogo ha generato esperienze e pensiero, trovando sì interpreti e interlocutori capaci e convinti sul territorio diocesano, ma anche, verrebbe da dire inevitabilmente, resistenze, incomprensioni e pietre d’inciampo, su scala locale, nazionale e internazionale. Per queste ragioni, oltre che per il rapidissimo trasformarsi degli scenari sociali e culturali nella presente fase storica, refrattaria a ogni semplificazione, la portata del lascito martiniano rende arduo ogni tentativo di rinvenire un’immagine unica che racchiuda la sua fede e il suo ministero. La sua eredità in progress, chiamata ora a farsi seme da raccogliere e far sempre più fruttificare, sulle tematiche di cui si è detto è senz’altro pesante e insieme complessa, e ci si può augurare che accompagni ancora a lungo la diocesi ambrosiana e la Chiesa europea tutta. Ecco perché, senza concludere ma tenendo la porta socchiusa, concludo cedendo la parola a un suo caro amico, Paolo De Benedetti, che - meditando sul significato della sua morte - annotava: “Io credo, se così si può dire (ki-vjakhol, espressione ebraica per giustificare uscite audaci), che Dio abbia preso con sé Carlo Maria Martini per un bisogno di conversare con lui”[3]. Una considerazione sapiente che mi pare lecito tradurre così: per poter dialogare con lui.

[1] Francesco Capretti, La Chiesa italiana e gli ebrei, Bologna, EMI, 2010, p. 146.

[2] Cfr. Paolo VI, Ecclesiam suam, n.67.

[3] Paolo De Benedetti, “Carlo Maria Martini: un maestro per tutti gli eredi di Abramo”, in Biblia, XXVI (2012), 3, p. 6.