La firma dei Protocolli con le diverse Confessioni cristiane e con i leader delle diverse religioni presenti sul territorio nazionale costituisce un avvenimento molto importante per il Paese: sigla infatti il riconoscimento delle comunità religiose e delle loro relazioni con lo Stato italiano.
Un evento che va sottolineato, perché porta in sé delle novità: credenti e non credenti le registrano come segni di quel nuovo che ci permette di riprendere non più come prima.
L’essere “sulla stessa barca” (papa Francesco), il trovarci in una situazione tragica, ha permesso anche il realizzarsi di ciò che scontato non era. Da anni, infatti, molti leader e rappresentanti di comunità religiose attendevano un incontro di questo tipo con le Istituzioni, così da essere riconosciuti e dare applicazione ad alcuni principi sanciti dalla Costituzione Italiana.
Non possiamo non rimarcare come le ripetute interlocuzioni tra Chiesa cattolica e governo, Comitato tecnico-scientifico, Ministero dell’Interno, abbiano agevolato il dialogo rendendo un servizio primario a favore di tutte le Confessioni religiose. Pensiamo alle parole del ministro Lamorgese dopo i reiterati e impegnativi incontri che hanno permesso di raggiungere un accordo: “Analogo impegno abbiamo assunto anche con le altre Confessioni religiose”.
Le comunità religiose presenti sul territorio italiano hanno storie diverse, ed è giusto che ciascuna abbia potuto fare quel percorso che ha portato alla firma dei Protocolli: un segnale che, auspichiamo, sia l’inizio di un nuovo percorso, un nuovo inizio, laddove le ricadute sul territorio non potranno che essere importanti.
Il lavoro che l’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso sta facendo sul territorio è anzitutto quello di promuovere relazione positive, che generino stima e interesse, che è il contesto dentro il quale è possibile convivere nel rispetto. Relazioni dove ciò che conta è l’ascolto, l’ascolto dell’altro, della situazione che vive. L’obiettivo, infatti, è che, nel pieno rispetto delle regole, in armonia con le amministrazioni locali si faccia ciò che si può fare perché fa bene al bene comune, alla casa comune che è l’Italia. Quando le relazioni sono poste nelle condizioni ottimali perché ciascuno possa essere se stesso, anche dal punto di vista della propria fede, vengono avviati processi importanti di serenità reciproca per la convivenza, permettendo al territorio di esprimersi nella ricchezza multiculturale, multietnica, multireligiosa.
In tal senso, l’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso sta operando nelle regioni ecclesiastiche, insieme con il Vescovo delegato regionale per l’ecumenismo e il dialogo e l’incaricato regionale, per far sì che i delegati diocesani promuovano relazioni autentiche e positive con le Confessioni cristiane e le altre religioni, aiutando la stessa comunità cristiana a essere protagonista di quel dialogo che ha una ricaduta sociale preziosa, buona e santa, nello stile delle prime comunità cristiane in contesti sociali molto complessi.
Le periferie esistenziali presenti sul territorio italiano lo testimoniano nella loro quotidianità e le comunità religiose che vi abitano vivono sulla propria pelle cosa voglia dire convivere nel rispetto e in serenità, condizioni che permettono di affrontare i problemi della vita e le stesse calamità in un modo nuovo.
don Giuliano Savina,
direttore dell’Ufficio Nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso
Un nuovo inizio per le confessioni cristiane e le altre religioni